Dr. Salvatore Taglialatela

Mastoplastica additiva

L’intervento di mastoplastica additiva (aumento del seno) viene eseguito per varie ragioni:

  • Per aumentare il volume mammario ritenuto inadeguato
  • Per restituire il volume perduto (gravidanza, dimagrimento, etc.)
  • In casi di asimmetria tra le due mammelle
  • Correggere una malformazione congenita quale la mammella tuberosa

Il metodo di inserimento delle protesi, la scelta del tipo di impianto ed il tipo di approccio dipendono dalla situazione anatomica della paziente.

L’incisione può essere effettuata lungo il solco sotto mammario, sulla porzione inferiore dell’areola o nel cavo ascellare.

La via di accesso sotto mammaria può essere impiegata in quasi tutte le circostanze. L’incisione ha solitamente delle dimensioni che vanno dai 4,5 ai 5 cm. Cadendo in un solco anatomico, la cicatrice è ben nascosta e raramente visibile.

L’incisione periareolare dà risultati molto soddisfacenti ed è normalmente dissimulata dalla pigmentazione più scura dell’areola.

La via ascellare si avvale solitamente dell’ausilio dell’endoscopia. E’ raramente utilizzata. Le protesi, inserite attraverso un’incisione ascellare, vengono poi posizionate al di sotto della ghiandola o del muscolo grande pettorale.

Il posizionamento della protesi può essere sotto-muscolare o sotto-ghiandolare.

Il primo è da preferirsi soprattutto in casi di mammelle poco sviluppate. La copertura muscolare dell’impianto è associata a un minor rischio di contrattura capsulare.

Gli impianti sono generalmente posizionati al di sotto della ghiandola quando la paziente presenta della mammelle con abbondante tessuto ghiandolare.

 

 

 

 

 

 

 

Le protesi

Gli impianti mammari sono dei dispositivi costituiti da un involucro di silicone riempito da un gel altrettanto di silicone che ha una fluidità e delle caratteristiche di coesività che cambiano a seconda del tipo di impianto. I gel coesivi consentono di preservare la forma dell’impianto nel tempo, riducendo al minimo la dispersione del gel di silicone in caso di rottura protesica.

Le protesi moderne presentano una superficie testurizzata, che ha permesso di diminuire l’incidenza della complicanza a lungo termine più temuta della mastoplastica additiva: la contrattura capsulare.

Esistono in commercio due tipologie di impianti mammari: quelli tondi (“tradizionali”) e quelli anatomici.

Le protesi tonde sono utilizzate da più di 40 anni. Hanno una consistenza morbida (simile a quella della mammella di una donna adulta) e contengono un gel a densità media che tende a spostarsi tenendo conto della forza di gravità: verso il basso nella stazione eretta e verso i lati in posizione clinostatica quanto si è sdraiati). Esistono protesi tradizionali di diversi volumi che variano in oltre per proiezione, ovvero il profilo che può essere basso, medio o alto. Danno dei risultati molto naturali e, per la loro morfologia, non hanno problemi di dislocazione e rotazione.

Comunemente conosciute come protesi “a goccia”, gli impianti anatomici sono ritornati in voga negli ultimi 10 anni. Sono riempite da gel coesivo, cioè ad alta densità che ne aumenta la consistenza diminuendo, nei soggetti con ipotrofia mammaria di grado moderato – elevato, il fenomeno del wrinkling (formazione di fini pieghe visibili e palpabili a livello della cute della mammella).

La forma dell’impianto e la densità del gel di silicone, ne rendono utile l’impiego nei soggetti magri e nelle situazioni in cui esiste un marcato iposviluppo dei tessuti mammari e nelle procedure di ricostruzione della mammella dopo asportazione di neoplasie maligne.

La letteratura internazionale ha negli ultimi tempi messo in risalto la possibilità della rotazione, col passare del tempo, degli impianti anatomici che determina così deformazione della mammella. Questi, infatti, devono essere alloggiati nella tasca retro-ghiandolare o retro-muscolare creata dal chirurgo secondo un orientamento ben preciso. Il retro di ogni protesi anatomica ha delle precise indicazioni che il chirurgo usa per posizionarla correttamente.

 


Mastopessi (lifting delle mammelle)

In alcune condizioni, il semplice inserimento di protesi mammarie non migliora esteticamente la condizione della paziente. Le mammelle, per effetto della gravidanza o per la conformazione stessa della paziente, possono apparire come “svuotate” o “cadenti”.

Si parla in questo caso di mammelle ptosiche. La correzione chirurgica prevede, oltre che l’inserimento di protesi, un intervento di mastopessi con il quale le mammelle portate in una posizione normale. Il complesso areola-capezzolo viene riposizionato verso l’alto, rispettando quelle che sono le proporzioni naturali delle mammelle.

Esistono diverse tecniche di mastopessi che essenzialmente differiscono per il tipo d’incisione che può essere periareolare (tipo Round-Block), a “T invertita” e verticale (tipo Lejour) a seconda dell’entità della risalita del complesso areola capezzolo.

L’intervento può essere condotto sia in anestesia generale che in anestesia locale con sedazione.

La nostra equipe preferisce l’anestesia generale per questo tipo d’intervento, così come per altri, in quanto questa metodica è sicuramente molto affidabile e sicura consentendo all’anestesista il totale controllo dei parametri vitali e delle vie aeree.


Complicanze

Le complicanze della mastoplastica additiva sono in generale assimilabili a quelle di un qualsiasi intervento chirurgico. Tra le complicanze immediate, di particolare importanza è l’ematoma, ovvero una raccolta di sangue dovuta solitamente all’apertura di un piccolo vaso sanguigno. La mammella interessata appare ingrossata e dolente alla palpazione. Può essere presente febbre. La soluzione è chirurgica e richiede il ritorno in sala operatoria. E’ importante avvertire il chirurgo qualora si presentino, nel postoperatorio, i sintomi sopra descritti.


 Contrattura capsulare

La complicanza sicuramente più temuta dalle stesse pazienti è la contrattura capsulare ovvero una distorsione della mammella provocata da un ispessimento della normale capsula che si forma intorno a tutti gli impianti mammari (figura in basso). Le cause sono misconosciute anche se secondo gli studi più recenti vi sarebbe un’associazione con la contaminazione batterica della protesi. Per tale ragione è essenziale una tecnica chirurgica che rispetti l’asepsi in sala operatoria. Il posizionamento degli impianti in sede retromuscolare consente di coprire la protesi con un tessuto, appunto il muscolo, altamente vascolarizzato. Questo ridurrebbe l’incidenza di contrattura capsulare.

Il trattamento è conservativo nei casi lievi e si avvale della capsulotomia per via esterna. Il chirurgo cerca di rompere la capsula con delle    manovre particolari effettuate sulla stessa mammella. Il procedimento può essere doloroso.

Nei casi inveterati e più gravi (terzo e quarto grado second Backer) il trattamento è chirurgico. E’ necessario asportare la capsula contratta (capsulectomia) che talvolta appare calcificata al campo operatorio. Le protesi vanno sostituite e spesso cambiate di piano.

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Nella prevenzione della contrattura capsulare si adoperano oggi farmaci anti-leucotrieni come l’ACCOLEIT. Questi, benché non approvati dall’Agenzia del Farmaco e dalla FDI per questa indicazione, hanno un loro ruolo nella prevenzione di questa condizione.


Che durata hanno le protesi mammarie?

Non si può affermare con certezza che le protesi mammarie durano circa 10 o 15 anni. Come tutti gli impianti e tutte le cose di questo mondo, le protesi mammarie vanno incontro a deterioramento col tempo, per questo sono necessari controlli periodici anche a distanza di anni. Può essere necessario cambiare le protesi per un eventuale rottura o modificazioni della morfologia delle mammelle dopo un determinato numero di anni. Secondo la letteratura scientifica internazionale, esistono pazienti con protesi mammarie in perfette condizioni da circa 20 anni.

Oggi le case produttrici, grazie alle nuove frontiere della tecnologia media, producono impianti sempre più stabili e durevoli.

Postoperatorio

Sono necessari dai sette ai dieci giorni di riposo prima di riprendere le attività quotidiane e comunque interrompere per almeno quattro-cinque settimane quelle sportive. Nei giorni successivi all’intervento viene fatto utilizzare un apposito reggiseno che dovrà essere indossato per circa 5 settimane.

I drenaggi vengono rimossi tra la prima e la terza giornata mentre i punti, solitamente una sola sutura intradermica, vengono rimossi dopo 10-15 giorni (se non riassorbibili).

Dopo la rimozione dei punti, i controlli vengono effettuati a un mese, a tre mesi, a sei mesi ed a un anno dall’intervento.  

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